PERFETTI SCONOSCIUTI Il mentire è un fenomeno trasversale a ogni tempo e a ogni cultura.

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PERFETTI SCONOSCIUTI  Il mentire è un fenomeno trasversale a ogni tempo e a ogni cultura.

di Valeriana Mariani

Un lavaggio delle nostre anime, magari solo una risciacquata e via con la pretesa di preservare la nostra supposta normalità (i folli, si sa, sono sempre gli altri) e, con la pretesa, ancor peggio, di sapere bene in cosa consista questa normalità alla quale ci avvinghiamo, spesso in una totale cecità culturale. Che tristezza scoprire che la nostra cultura è così angusta, asfittica, scontata nella sua devastante povertà, che non sappiamo nulla di noi stessi, mentre crediamo di sapere tutto, che siamo così arretrati, così barbarici nelle nostre automatiche reazioni. Inferno e paradiso, ecco poi le altre due parole magiche che ci vengono alla  bocca, anch’esse metafore stinte eppur sempre buone che preleviamo da un sacco oramai semivuoto. Altro che logica bipolare, piuttosto immagini ultracomode, non le uniche, con cui dividiamo in due realtà, in un bene e in un male molto all’ingrosso, salvo mentire e mentirci ogni volta. Perché per quanto sia normalmente esecrato e stigmatizzato, il mentire è un fenomeno trasversale a ogni tempo e a ogni cultura. Mentiamo a tutti, alle persone più care e agli estranei, oltre che a noi stessi. Dunque, il mentire e anche la costellazione ad esso connessa dell’ingannare, dell’imbrogliare, del dissimilare, del fingere, è fenomeno universalmente umano. Possiamo dire che a differenza del rubare, commettere abusi sessuali o uccidere, quello di mentire è un crimine morale che commettiamo tutti e regolarmente. Un libro che analizza da un punto di vista cognitivo-sociale il problema della menzogna riporta questo dato: “In una inchiesta fatta in un liceo di ragazze, alla prima domanda: ‘lei mente?’ il 50% ha risposto spesso, il 20% molto spesso, il 20% qualche volta, il 10% mai. Alla seconda domanda: ‘Bisogna condannare la menzogna?’ il 95% ha risposto “. Ecco, per dire. Una questione oscura, dunque… perché se è vero che il fenomeno è diffuso e universale, è vero anche che il suo studio e la sua analisi sono tutt’altro che semplici.

Anzi, affrontare la questione della menzogna è impresa ardua. La potenza della menzogna è evidente e andrebbe semplicemente riconosciuta. Spesso invece noi ci aggrappiamo alla bontà della menzogna, la cosiddetta “bugia a fin di bene”, quella “innocente”. Sì, a fin di bene, ma per chi? Per Agostino, alla base della menzogna c’è la voluntas fallendi, la volontà deliberata di ingannare l’altro. Mentre non è affatto detto che della menzogna faccia necessariamente parte la voluntas nocendi, cioè l’intenzione di nuocere all’altro e di danneggiarlo. Ci sono menzogne che sono un’autodifesa, una protezione di sé, ma che non intendono minimamente fare del male agli altri. Jean Jacques Rousseau afferma: “Asserire il falso è mentire soltanto se esiste l’intenzione d’ingannare; e perfino l’intenzione d’ingannare, lungi dall’essere sempre unita con quella di nuocere, qualche volta ha un fine addirittura contrario”. Il menzognero fa esistere ciò che lui dice o, meglio, induce altri a credere vero ciò che lui dice e che dice sapendolo falso. È una forma di seduzione che esprime la dimensione anche erotica del mentire. Inducendo l’altro a credere le mie menzogne, penetro in lui e lo possiedo, lo determino, ma l’unica soddisfazione è del mio ego. Dunque, una dimensione della menzogna è il piacere che essa dona a chi “mente sapendo di mentire” per ottenere i risultati che si è prefisso. Faccio notare che l’espressione “mentire sapendo di mentire” è ridondante e tautologica perché mentire implica già l’intenzione di ingannare e dunque implica sapere che ciò che si dice è falso.

Sapere, piacere, potere si trovano perversamente intrecciati nell’atto menzognero. Ovvero, i bugiardi che fanno della menzogna un habitus, che mentono per manipolare, per ottenere vantaggi senza preoccuparsi delle conseguenze emotive e relazionali che il loro comportamento può produrre negli altri. Normalmente il bugiardo patologico è poco attento alla dimensione emotiva e psicologica degli altri, è autocentrato e narcisista: egli ha talmente interiorizzato il meccanismo menzognero che ci convive in maniera egosintonica e non riesce a percepire il suo modo di fare come patologico. Più analiticamente, il bugiardo patologico ha come elementi caratterizzanti della sua personalità questi atteggiamenti: mente gratuitamente anche se non è necessario; è impaziente; tende a essere manipolativo nei confronti degli altri; è seduttivo e disinibito; è intollerante alle critiche; pretende, perché ritiene che tutto gli sia dovuto; non prova rimorsi; è incapace di instaurare relazioni affettive mature. Occorre allora distinguere la menzogna dalla bugia innocente, dalla finzione che struttura una persona, dall’imitazione e identificazione con altro da sé, dalla sperimentazione linguistica che consente creatività, protesta e trasgressione, come ha scritto George Steiner:

Il linguaggio è il principale strumento del rifiuto dell’uomo di accettare il mondo per come è”. Ora, se non può essere considerata menzogna una cosa non vera detta per ignoranza o per errore o per convinzione che sia vera mentre non lo è, si deve cercare nella volontà, nella intenzionalità di ingannare, il nucleo decisivo che rende menzognera un’affermazione. Per Agostino, alla base della menzogna c’è la voluntas fallendi, la volontà deliberata di ingannare l’altro. Mentre non è affatto detto che della menzogna faccia necessariamente parte la voluntas nocendi, cioè l’intenzione di nuocere all’altro e di danneggiarlo. Ci sono menzogne che sono un’autodifesa, una protezione di sé, ma che non intendono minimamente fare del male agli altri. Jean Jacques Rousseau afferma: “Asserire il falso è mentire soltanto se esiste l’intenzione d’ingannare; e perfino l’intenzione d’ingannare, lungi dall’essere sempre unita con quella di nuocere, qualche volta ha un fine addirittura contrario”. Ci sono poi anche i bugiardi patologici, ovvero i bugiardi che fanno della menzogna un habitus, che mentono per manipolare, per ottenere vantaggi senza preoccuparsi delle conseguenze emotive e relazionali che il loro comportamento può produrre negli altri. Normalmente il bugiardo patologico è poco attento alla dimensione emotiva e psicologica degli altri, è autocentrato e narcisista: egli ha talmente interiorizzato il meccanismo menzognero che ci convive in maniera egosintonica e non riesce a percepire il suo modo di fare come patologico. Più analiticamente, il bugiardo patologico ha come elementi caratterizzanti della sua personalità questi atteggiamenti: mente gratuitamente anche se non è necessario; è impaziente; tende a essere manipolativo nei confronti degli altri; è seduttivo e disinibito; è intollerante alle critiche; pretende, perché ritiene che tutto gli sia dovuto; non prova rimorsi; è incapace di instaurare relazioni affettive mature. Lo psicoterapeuta Luigi Zoja, secondo il quale la dimensione etica assume la forma di un’attenzione coltivata all’ascolto delle urgenze oscure dell’umano per elaborarne una più acuta consapevolezza. Infatti, il discernimento delle ombre può scoprire tesori.

Sempre Zoja inizia così un suo libro tutto teso ad affermare lo statuto etico della pratica analitica e dunque anche del comportamento dell’analista stesso: “Il cuore dell’analisi è etico: si propone di combattere la menzogna, prima di tutto quella che raccontiamo a noi stessi. L’etica dell’analisi non è dunque un espediente per dare rispettabilità alla professione. È una presenza originaria. Non ci affaccendiamo per anni con i sogni e le fantasie inconsce di qualcuno perché è stimolante. L’uomo dunque è l’animale che mente. Se forme di inganno sono messe in atto anche da animali, possiamo dire che l’uomo è l’animale che mente. Mentire non è solo una perversione della nostra natura umana, ma un suo aspetto fondamentale.“ La capacità di ingannare consapevolmente e di riconoscere l’inganno è esclusivamente umana e svolge un ruolo in tutti i nostri rapporti. È impossibile comprendere la società umana e persino capire noi stessi senza prima comprendere cosa significa mentire”[xx]. In genere i comportamenti ingannevoli degli animali sono volti alla sopravvivenza, a difendere la nidiata, il cibo, dunque dovuti all’istinto che l’animale ha sviluppato. Questi comportamenti sono presenti soprattutto in quegli animali che vivono in gruppi sociali: l’inganno permette loro di avvantaggiarsi rispetto a possibili concorrenti nell’accesso a risorse alimentari o in vista della ricerca di partner e dell’accoppiamento. Gli umani ricorrono al medesimo comportamento ingannevole, ma in più rispetto agli animali gli umani mettono in atto certi tipi di menzogna che sono legati a bisogni di tipo egocentrico che gli animali non presentano. È l’intelligenza sociale, quella cioè che si è dovuta sviluppare vivendo insieme ad altri, che ha portato l’uomo a raffinare la propria immaginazione, la capacità di preveggenza, di comprendere cosa l’altro abbia in animo, di immaginarne e prevenirne le mosse, elementi tutti essenziali per attuare un comportamento menzognero. L’evoluzione dice che la menzogna costituisce una strategia,  di natura squisitamente sociale, essenziale per la sopravvivenza. Capacità di inganno comporta capacità di prevedere gli effetti del proprio agire sugli altri, capacità di immaginazione del futuro, buona memoria. Negli umani, poi, questa capacità è particolarmente sviluppata grazie a quello straordinario mezzo simbolico che è il linguaggio. Insomma, la menzogna, intesa come falsa affermazione fatta con l’intenzione di trarre altri in errore sembra una competenza che gli umani hanno sviluppato in modo speciale e che li caratterizza. Indipendentemente da ogni giudizio morale, la menzogna è opera di ingegno. Solo l’idiota, colui che è totalmente trasparente, non può mentire.

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